il peccato

I Protestanti ridono di se stessi?

La premessa storica

Lutero (un monaco tedesco n.d.a.) con la pubblicazione delle 95 tesi, produsse lo scisma da Roma, ponendo al centro della vita della Chiesa l'autorità della Parola di Dio al posto di quella del Papa. In seguito, col contributo dei riformatori svizzeri una serie di cose inizieranno a cambiare: si chiuderanno i conventi, si affermerà il sacerdozio universale, verrà abolito il celibato obbligatorio, la confessione personale auricolare, le messe private, ecc. Ma anche la Parola di Dio non sarà esente dalla riforma. Per cercare di comprenderla i teologi inizieranno ad applicare metodi lettura storico-critici. E così si affermeranno alcuni principi secondo cui la Bibbia è la raccolta delle esperienze di fede di chi ci ha preceduto, non è la sbobinatura di un ciclo di conferenze tenute da Dio in persona. Il locale di culto non è un luogo sacro, non ci sono reliquie da venerare o immagini sacre da baciare. La salvezza è un dono gratuito di Dio ottenuto attraverso il sacrificio di Gesù Cristo. Non ci sono pene da pagare o ricatti da subire per ottenerla.

Certo, questo aspetto della libertà del cristiano e della responsabilità individuale porrà notevoli problemi sul versante dell'equilibrio psicologico, sensi di colpa, parcelle dello psicanalista, ma libererà buona parte dell'umanità dal potere di una casta sacerdotale e dai suoi riti.

Prima di passare ad affrontare la domanda se sia lecito ridere della religione e di Dio, è interessante domandarsi se gli eredi di tale riforma epocale, i protestanti, sono in grado di ridere di loro stessi e delle decine di denominazioni in cui si sono divisi.

In effetti la rappresentazione comune del protestante, a cui non è esente quella dei protestanti più conosciuti in Italia (i Valdesi), è quella di persone serie, rigorose, che vivono nell'understatement e che si affannano tra mille impegni sociali ed ecclesiastici.

Se poi guardiamo cosa è conosciuto in Italia del pensiero protestante troviamo ben poco se non una vaga idea di un calvinismo cinico interessato agli affari o, tutt'al più, ad una rigida applicazione delle regole morali.

Insomma questi protestanti godono di una immagine proprio antipatica.

Eppure, nella teologia riformata, tutto è messo sotto il riflettore della critica, persino il Libro che contiene la rivelazione divina (Bibbia). Come mai a tanta capacità di autocritica non corrisponde un'altrettanto sviluppata ironia?

Eppure non è stato sempre così e soprattutto non è detto che debba essere così.

"Ecclesia reformata semper reformanda est". Secondo Martin Lutero la chiesa riformata non è tale se non conserva sempre la capacità di riformarsi. Se la chiesa ha bisogno di trasformarsi è perché è soggetta, come tutte le istituzioni umane, alla legge dell'entropia, ed è destinata a degenerarsi. Quando una cosa non funziona è molto facile che mostri dei risvolti comici. L'umorismo suppone l'accettazione dell'uomo così com'è. C'è dell' umiltà nell' umorismo e su questo i protestanti dovrebbero essere in perfetta sintonia.

Lo stesso Calvino nelle sue "Istituzioni" dichiara "che non è in alcun modo vietato ridere, o suonare uno strumento o bere del vino (cosa quest'ultima ben nota in passato)". Raccomanda solamente di non abusare dell'uso sano e legittimo dei doni di Dio, rifacendosi al "tutto è lecito, non tutto è utile" di Paolina memoria.

Il grande teologo protestante Karl Barth ha anche detto "non prendete troppo sul serio la nostra buona teologia, solo la Parola di Dio deve essere presa sul serio".

Vale l'insegnamento dell'Apostolo Paolo che raccomanda di essere sempre gioiosi perché un cristiano triste è un triste cristiano, mentre l'umore di base che deve ispirare la vita di un credente è la gioia per la gratuità della salvezza ricevuta dal sacrificio di Gesù Cristo.

Ma, a queste dichiarazioni teoriche corrispondono dei comportamenti coerenti nella vita dei membri delle chiese riformate dei nostri giorni?



Sergio Velluto
(Torino, 30 gennaio 2010)

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