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Befane Rock - Il nuovo gruppo Punk-Rock della chiesa valdese di Firenze.

Tratto da "Ecumenicamente (s)corretto"
di Roberto Davide Papini

Come per ogni realtà, anche riguardo alla Chiesa valdese ci sono alcuni luoghi comuni, che andrebbero confutati. Uno di questi è la presunta "vetustà" di alcuni aspetti liturgici a partire dagli inni. Pensiamo a una qualunque assemblea di chiesa: ci vuole un bel coraggio a dire che ci siano canti e melodie superati. Esattamente come faceva Lutero (che adattava i canti popolari a fini liturgici) anche noi cerchiamo di stare al passo con i tempi. Scorrendo le pagine della "nuova" edizione dell’innario (che risale al duemila) troviamo arie e ritmi assolutamente attuali, le stesse che i giovani ascoltano abitualmente o che si canticchiano in autobus o sotto la doccia.
Potrei fare mille esempi, ma pensando alla prossima Pentecoste, come non riconoscere nei ritmi dell’inno 123 (Hermann 1554) il motivetto più trasmesso da RadioDeejay proprio in questi giorni?
E se torniamo al periodo di Pasqua, possiamo non definire moderno l’inno 109 che è firmato da uno dei migliori autori pop degli ultimi anni come Georg Friedrich Händel (1685-1759)?
Vi sono poi alcuni brani quasi rivoluzionari e davvero molto avanti anche per il nostro secolo, come l’inno 155 che riprende un’aria slesiana del 1842.
Se scorriamo gli autori, poi, in maniera assolutamente casuale, ne troviamo alcuni che sono stati stabilmente nelle hit parade di questi primi mesi del 2009, come Melchior Vulpius (1570-1615); Loys Bourgeois (1510-1560); Severus Gastorius (1646-1682); Camillo Mapei (1809 –1853). Senza dimenticare che tra le suonerie dei cellulari più scaricate dai giovani ci sono quelle sui ritmi di Franz Joseph Haydn (1732–1809).
Insomma, la modernità, l’attualizzazione delle melodie è garantita. Sui testi siamo ancora più avanti con l’utilizzo di parole di uso non solo comune, ma quasi gergale, termini che oggi ognuno comprende (anche i numerosi cittadini stranieri che affollano la nostra chiesa) come "superno" (inno 72: «Gloria in eterno nel ciel superno»); "fervide" (inno 117: «Uniam, fratelli, fervide le nostri voci ancor...»); "avel", ovvero avello (inno 116: «E’ Gesù salito in ciel, vincitore dell’avel...»; ma anche inno 111: «Cristo risorse dall’avel...»); "desia" (inno 18: «Guarda tu l’anima mia che da te pietà desia...») e via dicendo.
Certo, non bisogna esagerare con la modernità: pensare a chitarre strimpellanti o addirittura (orrore) a percussioni tribali sarebbe sacrilego. I nostri inni sono pienamente inseriti nel linguaggio verbale e musicale della nostra epoca: comprensibili, proprio come lo erano quelli di Lutero nel Cinquecento.
È vero, talvolta ci sono degli eccessi: in passato, l’organista della Chiesa valdese di Firenze ha deviato dalla sana ed antica dottrina per alcune domeniche, utilizzando come interludio la musica di Fabrizio De Andrè. L’incidente, però, è stato prontamente chiuso: l’organista incriminato ha giurato sugli spartiti originali di Johann Crüger (1598–1662) di non suonare mai più in chiesa brani che non abbiano almeno 150 anni. E mi pare il minimo.

 
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